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mercoledì 21 luglio 2010

Il linguaggio del giurista.

Titolo originario: il signoraggio Ally mcBeal e il genio della lampada


Sono un appassionato di telefilm. Uno dei preferiti è Ally McBeal. Memorabile, per il giurista, l’episodio dell’avvocato bambino che, essendo un bimbo prodigio, è diventato legale a sette anni e quello del bambino che vuole fare causa a Dio per avergli dato dei genitori che litigano sempre.

In Italia un telefilm giudiziario che presenta casi di diritto civile sarebbe pressoché impossibile.



Nel caso del bambino che vuole fare causa a Dio, ad esempio, sorge prima un problema di individuazione della categoria di danno, con le astruse problematiche sulla riconducibilità del danno esistenziale nella categoria del danno morale o nella più ampia categoria del danno non patrimoniale lato sensu, che farebbe addormentare qualsiasi spettatore dopo dieci minuti; dopodichè seguirebbe il problema della legittimazione processuale di Dio, problema che un giurista anglosassone liquiderebbe in due righe, mentre noi saremmo capaci di scriverci un intero trattato di 500 pagine.

Tanto per fare una comparazione spicciola, il giurista italiano è quel tipo che scrive un libro di 300 pagine sull’”Importanza dell’inadempimento” e poi lo propone nel suo corso di laurea; testo il cui contenuto di fondo può riassumersi nel seguente concetto: l’importanza dell’inadempimento va valutata caso per caso.

Nello stesso numero di pagine il giurista inglese riesce a scrivere un testo su “I fondamenti del diritto” (alludo a Peter Stein), dove riesce a fare un excursus sul sistema giuridico anglosassone e su quello di civil law, sostanziale e processuale; leggendolo si impara di più che in un intero corso di laurea.

All’epoca in cui feci io l’università all’esame di diritto civile portavo solo due testi: “Il termine del negozio giuridico” e un'altra monografia che ora non ricordo esattamente, ma comunque di analoga importanza, per un totale di 500 pagine. Un ragazzo che conobbi anni fa in Germania dava l’esame di diritto civile e portava tutte le obbligazioni e i contratti, nel sistema tedesco, italiano e francese in 1000 pagine.

Nel corso degli anni mi sono sempre chiesto il perché la situazione fosse così e se fosse possibile far qualcosa per cambiare. Discutendo con colleghi, amici, persone conosciute all’estero, mi sono fatto l’idea che le cause di questa situazione siano profonde, e molteplici. E quanto alle possibili soluzioni, francamente non ne vedo, perlomeno di immediate.

Iniziamo dalle cause storiche. Per secoli, e fino alle prime codificazioni, il nostro sistena giuridico è stato quello del diritto comune. Era un sistema caotico e quasi incomprensibile, di pressoché totale anarchia giuridica, ben raffigurato nella famosa scena dei promessi sposi in cui l’avvocato Azzeccagarbugli fruga tra le varie carte al fine di trovare una “grida” che servisse al caso suo. Nella soluzione di un caso pratico poteva convergere contemporaneamente il diritto romano, il diritto comunale, il diritto del signore feudale, e il diritto della corporazione, in una pluralità di norme contraddittorie tra loro, e senza un sistema organizzato di gerarchia delle fonti, con il risultato che l’avvocato utilizzava le norme che erano a lui più congeniali (e fin qui non ci sarebbe nulla di strano); ma con l’ulteriore e ben più tragico risultato che il giudice decideva più o meno come gli pareva. Per secoli siamo stati quindi abituati al caos, alla complicazione e alla fumosità e una codificazione non cambia una mentalità in un batter d’occhio. Il sistema della codificazioni è ancora relativamente recente, se raffrontato ai secoli in cui il diritto comune ha dominato (meno di due secoli a fronte di oltre un millennio di diritto comune). Il giurista italiano quindi per secoli è stato abituato alla complicazione, mentre quello anglosassone, ad esempio, è maggiormente aduso alla semplicità del linguaggio. Specie negli Stati Uniti, il linguaggio doveva servire a comunicare tra popoli di provenienza diversa tra loro (non scordiamoci infatti che l’attuale popolazione USA discende da inglesi, portoghesi, francesi, spagnoli, ecc…). Ne consegue un sistema giuridico relativamente semplice, comprensibile a chiunque, come del resto il linguaggio in tutte le pubblicazioni specialistiche.

Aggiungiamo poi, a questo substrato storico, una certa propensione tipicamente italiana a snobbare le cose troppo semplici, identificando la complicazione con cui un concetto viene espresso con la sua elevatezza contenutistica. Questo è un fenomeno tipico di tutti gli altri campi, non solo del diritto.

Chi è appassionato di psicologia, ad esempio, avrà notato che i testi inglesi e americani sono sempre comprensibili a chiunque, anche quando sono specialistici. La maggior parte dei testi specialistici italiani – penso ad esempio ai libri di Carotenuto - invece sono incomprensibili perché per esporre concetti anche banali usano un frasario inaccettabile. Invece di dire che “il tradimento, nella coppia, non è un problema in sé, ma è sempre la spia di un altro problema a monte” scrivono che “nell’ambito del rapporto dualistico che si crea nella fusione intima tra due persone, che si tratti di coppia stabile, o meno, tradizionale o non, l’entrata di una terza persona, quando il tradimento è unilaterale (o di due persone, quando il tradimento è reciproco) è sempre l’evento sintomatico da cui si dovrebbero trarre utili spunti di riflessione inerenti alla concausa prima che ha generato questo evento”.

Cause psicologiche. Quando all’università mi misi a studiare diritto privato – che per me era il primo esame - presi in mano il Rescigno. Non ci capivo nulla. Buio assoluto. Mi confrontavo con altri miei amici e compagni di università e anche loro non ci capivano nulla. Qualcuno di noi abbandonava. Altri continuavano imperterriti a studiare sul testo cercando di impararlo a memoria e generalmente si trattava di quelle persone che poi lo diedero svariate volte. Alcuni, beati loro, trovavano il giusto metodo di studio (cioè imparare prima di tutto il codice e poi leggere il libro).

Io non mi riconoscevo in nessuno di questi atteggiamenti. Non cambiai università, non cambiai metodo, ma cambiai libro e passai al Trabucchi. Anche quello, però, lo trovavo difficile, anche se più comprensibile del Rescigno. Ebbi la fortuna di avere un padre già laureato in giurisprudenza che mi disse “prova col Torrente”. Quello finalmente riuscivo a capirlo e così detti l’esame e presi il mio primo voto, un onorevole 27, mentre vedevo amici miei che avevano studiato più di me prendere magari un 20, dopo tre tentativi. E fu così che mi si aprì un mondo e capii che spesso il problema non siamo noi ma il libro, il metodo proposto o il professore.

E mi resi conto di qual è il problema di fondo. Il Rescigno è un bellissimo testo; purtroppo però è bellissimo per chi la materia la sa già, mentre risulta incomprensibile a chi ne è digiuno. Così come sono bellissimi testi come il Giannini di diritto amministrativo o il Contratto di Sacco, se studiati quando uno conosce già la materia; se invece vengono malauguratamente studiati durante l’università il disgraziato studente odierà quella materia tutta la vita.

Anni dopo poi mi resi conto della gran fortuna che ho avuto ad aver fatto l’università in un’epoca in cui ancora non esisteva il Gazzoni, perché se lo avessi letto allora forse mi sarei suicidato. Quando vengo a sapere che alcuni corsi universitari consigliano il Gazzoni come testo di base mi sento come uno scampato ad un pericolo.

Insomma, io ho avuto la fortuna di avere un padre laureato in legge che mi ha consigliato il modo più semplice per uscire dall’impasse in cui mi trovavo, ma non tutti hanno la stessa fortuna.

Anni dopo, durante gli anni post lauream, succede la stessa cosa.

Ci riteniamo troppo impreparati per contestare mostri sacri del diritto, e quando sentiamo che in una data materia il testo più usato è il testo X o Y, non ci sentiamo abbastanza sicuri di noi stessi da poter andare contro corrente.

Analogo atteggiamento abbiamo con le sentenze. Il nostro pensiero più frequente è “se l’ha detto la Cassazione e io non riesco a capirlo, forse vuol dire che non sono abbastanza bravo”.

Invece dovremmo sostituire questo genere di pensieri con un altro: “se non riesco a capire il problema, significa che l’autore, o il giudice, non sono abbastanza bravi da farmelo capire”.

L’attuale situazione universitaria. Questo stato di cose è aggravato dalla situazione in cui versa l’università italiana.

In Germania, al matrimonio di mia sorella, conobbi un professore universitario. Parlando, dopo che gli dissi che insegnavo ai corsi per l’esame di avvocato, e che avevo scritto vari manuali, deglutì, e disse: “Quindi tu sei famosissimo e importante, in Italia. Ma come sei giovane! Da noi si arriva ai tuoi livelli solo dopo i cinquanta o sessanta anni”. “In realtà non è così” – risposi – “Non sono né famoso né importante e guadagnavo di più quando facevo il cameriere. Il punto è che da noi in Italia molti professori universitari non scrivono quasi nulla, e i corsi, o i libri più gettonati per lo studio dei concorsi, sono tenuti da magistrati e avvocati, perché i corsi e i libri dei docenti universitari sono quelli peggiori”.

Infatti è cosa nota che i migliori manuali di diritto amministrativo, penale e civile, utilizzati per i concorsi, sono quelli di Caringella, Capozzi, Di Benedetto, ecc…, non certo quelli scritti dai professori universitari.

Questo perché i professori universitari vengono scelti con criteri che non sono meritocratici, ma di altro tipo. Inoltre, durante la carriera universitaria, non esistono strumenti che consentano di controllare l’operato del docente, cosicché può capitare che un professore diventi tale sol per essere figlio di Tizio o Caio, e dal punto di vista del curriculum per aver scritto una monografia sul diritto comparato dei formicai, potendo poi concedersi il lusso di non fare nulla per il resto della sua vita. In questa cena parlammo a lungo di questo problema e io gli dissi che comunque esistevano anche da noi molti testi scritti in modo chiaro anche da docenti universitari; esistono testi splendidi come il Sacco, il Gorla, tutti i testi di Luminoso o Gabrielli per il diritto civile, di Sorace per il diritto amministrativo, Cadoppi Veneziani, Caraccioli, Pagliaro per penale e tanti altri; basta saperli scegliere. Cosicché lui mi chiese se un determinato commentario fosse o meno da considerarsi tra i testi comprensibili. Io risposi di si, che era un testo che anche a me era di molto aiuto e lo utilizzavo quotidinamente comprando tutte le edizioni, e che addirittura era presente in pianta stabile sulla mia scrivania. A quel punto lui mi disse se potevo spiegargli un passo per lui importante, visto che stava effettuando uno studio comparato sulle azioni di restituzione. L’indomani andai a casa sua e mi fece leggere il commento all’articolo 2033, dove c’era scritto (riporto testualmente):

“Assai controversa appare la questione dei rapporti tra la condictio e l’azione diretta all’accertamento della nullità. A fronte di una corrente diretta a ricondurre la ripetizione dell’indebito nell’ambito delle azioni concernenti l’invalidità del negozio (v. anche Cass. 59/2162 che ha affermato essere, in sostanza, la condictio, nient’altro che un’azione di nullità per mancanza di causa) si è collocato chi, infatti (Moscati) ha sostenuto la completa autonomia della condictio rispetto all’azione di nullità, affermando la proponibilità di quest’ultima anche dopo la prescrizione della condictio (ad es. allo scopo di agire in rivendicazione. Nel caso di contratto a prestazioni corrispettive l’esito di quest’ultima azione potrebbe poi risolversi in un arricchimento senza causa di uno dei contraenti qualora precisamente l’azione di rivendicazione spetti ad una parte soltanto) e affermando, ulteriormente la possibilità di un concorso alternativo o sussidiario tra le pretese restitutorie (ripetizione e rivendicazione). La problematica è evidentemente connessa con quella della effettività, nel nostro sistema giuridico, del principio consensualistico proclamato nell’articolo 1376 e della possibilità o non di riconoscere, nel nostro diritto, efficacia traslativa sia pure invalidabile ad una solutio in assenza di causa solvendi (con la conseguenza di configurare la ripetizione quale mezzo per recuperare la titolarità oltre che il possesso del bene consegnato); quanto detto vale, evidentemente, oltre i limitati casi in cui secondo il nostro diritto, possa ritenersi ancora configurabile un negozio astratto di trasferimento da non considerarsi in sé nullo per difetto di causa esterna”. (Da notare che nel riportare questo passo ho tralasciato alcune parentesi e alcune subordinate che rendono ancora più pesante il discorso; da notare altresì che nel corso del testo compare spesso la parola “evidentemente….”, al che verrebbe da chiedere all’autore: ma evidentemente per chi?).

In effetti non riuscii a spiegargli questo passo; e lui disse “se questi sono i testi chiari che tu hai sulla scrivania, forse è meglio che rinuncio”. Decise così di limitare l’indagine comparativa alla Spagna e alla Francia.

I problemi fin qui evidenziati, cioè quello storico e psicologico, alla fine si fondono e diventano un problema sociologico. Assuefatti a questo stato di cose, infatti, andiamo avanti in questo caos e ciascuno gode i vantaggi di questa situazione. Ed ecco perché questo stato di cose non cambierà mai.

Cominciamo dalla categoria degli avvocati. Anzitutto nel processo essi sono esonerati dall’obbligo di essere chiari. Inoltre quando non conoscono un argomento possono inondare il cliente con una marea di frasi incomprensibili, tanto costui non se ne accorgerà e penserà che il problema è la sua ignoranza, non il fumo negli occhi con cui l’avvocato lo sta sommergendo.

In questi giorni seguo una causa contro una ditta di spedizioni; il corriere ha buttato dei documenti importanti senza consegnarli e ha falsificato la firma del destinatario. In sede penale è acclarata la responsabilità della ditta, dato che il corriere ha ammesso la sua colpa. Se fossimo in America il processo si chiuderebbe alla prima udienza; il giudice direbbe “bene, lei allora ha ammesso di aver falsificato la firma e non consegnato il pacco; ha altro da aggiungere?” e tutto si chiuderebbe lì entro pochi giorni. Invece in Italia no; la ditta si è costituita, alla prima udienza si è verificata la regolarità del contraddittorio, poi la ditta ha eccepito che “il documento di consegna è un atto interno e quindi non può parlarsi di un falso”, poi ci sono le richieste istruttorie a cui la controparte si è opposta e ilm giudice si è riservato, e così via….Si andrà avanti così magari per anni e da questa situazione ce ne avvantegeremo senz’altro noi avvocati, cioè io e l’avvocato di controparte, che prenderemo gli onorari su una causa sostanzialmente inutile e demenziale, di cui dobbiamo ringraziare il nostro sistema giuridico. A danno però delle parti, che spenderanno soldi inutili senza capire perché li stanno spendendo.

Quindi perché gli avvocati dovrebbero protestare contro questo stato di cose?

Poi se ne avvantaggiano alcuni magistrati, che possono decidere quello che vogliono, sostanzialmente certi che tanto più parleranno in modo complicato, tantomeno le loro decisioni saranno sottoposte a critica.

Alcuni professori universitari, come abbiamo detto, vengono favoriti perché non devono sforzarsi di scrivere cose comprensibili, il che permette loro di nascondere spesso la loro impreparazione in una data materia.

Infine, se ne avvantaggia la classe politica. Alcuni politici sono sicuri che il magistrato compiacente troverà senz’altro il modo di emanare una decisione a loro favorevole, e difficilmente tale sentenza sarà soggetta al giudizio critico della massa, generalmente non in grado di capire a fondo le sentenze dei giudici.

Così ecco che ad es., la sentenza della Cassazione nei confronti di un noto personaggio politico, che dichiara prescritto il reato contestatogli, diventa una sentenza di assoluzione, dato che la maggior parte dei cittadini non è in grado di distinguere tra prescrizione e assoluzione.

Inoltre data la scarsa comprensibilità della maggior parte delle leggi diventa molto più facile emanare norme dal contenuto assurdo.

Come esempio è sufficiente riportare quello di una sentenza della Corte Costituzionale che due anni fa dichiarò incostituzionale il decreto legge con cui il governo aveva deliberato che la Presidenza del Consiglio non era più soggetta al controllo della Corte dei Conti. Tale decreto è passato del tutto inosservato sui giornali, perché bisognava essere costituzionalisti e amministrativisti al tempo stesso per capire l’esatta portata di quell’assurdo decreto legge. Quindi nessun giornale ha riportato la notizia.

Il linguaggio giuridico, cioè, diventa uno strumento di potere e di manipolazione, perché grazie a questo stato di cose si possono nascondere determinate cose, senza che la gente ne venga a conoscenza e senza che, nei dibattiti politici che ne conseguono, il cittadino medio riesca a percepire effettivamente quale è il vero problema.

Uno dei casi più assurdi credo sia quello in materia di signoraggio. Pochi sono capaci di capire che dietro alle sentenze sul signoraggio, emesse la prima da un giudice di pace, la seconda dalla Cassazione a SS.UU. e pubblicate nel numero 0 di Altalex mese, si nasconde un buco di centinaia di milioni di euro, forse migliaia, ai danni delle casse dello stato e dei cittadini. Probabilmente, la verità è che neanche la maggior parte dei politici (molti dei quali non sanno neanche cosa sia la Consob e non hanno neanche gli elementi giuridici base) è a conoscenza del reale stato di cose che si cela dietro a questo problema del reddito da signoraggio, il che porta ad una specie di paradosso, cioè quello del potere che si cela a se stesso.

Insomma, troppe categorie traggono vantaggio da questo stato di cose, perché si possa sperare che cambino, mentre chi subisce gli svantaggi di questo sistema non ha il potere per farsi valere, perché sono gli studenti, i cittadini vessati da un sistema che non capiscono, gli amministratori pubblici che hanno a che fare con normative incomprensibili e che spesso passano giorni a domandarsi “ma ho il potere di fare questa cosa o no?”.

Tempo fa discussi col sindaco di un comune che mi chiese un parere per sapere se poteva o meno dare una concessione per costruire un supermercato. Letta la normativa, la mia risposta è stata: “che risultato volete raggiungere? Posso motivare sia in un senso che in quello contrario. E’ il mio lavoro”.

“Francamente non lo so - mi rispose – Forse sarebbe meglio motivare politicamente allora. Siamo un’amministrazione di sinistra, secondo te un supermercato è di sinistra o di destra?

- Dipende – risposi – E’ di destra, se si considerano i piccoli negozi che saranno costretti a chiudere, nonché il favore per chi ha grossi capitali da investire. E’ di sinistra perché abbassa i prezzi e aumenta l’occupazione.-

Sono cinque anni che in questo comune discutono se costruire il supermercato o meno, a forza di carte bollate, ricorsi al TAR e discussioni infinite, ma il supermercato non è ancora costruito.

Per questo, data la situazione, e tornando alla questione delle possibili soluzioni, mi viene in mente una barzelletta famosa, riadattata.

Un Tizio trova un genio in una lampada.

- Dimmi un desiderio e io lo esaudirò, dice il genio.

- Qualsiasi desiderio?

- Qualsiasi. Se il primo non è possibile hai un desiderio di riserva. Ma ne posso esaudire solo uno. Risponde il genio:

- Vorrei risolvere il problema della pace nel mondo.

- Impossibile. Trova un altro desiderio. Questo è troppo difficile.

- Ok. Allora vorrei semplificare il linguaggio giuridico e vorrei che il diritto diventasse comprensibile a tutti. Che le sentenze siano comprensibili da tutti, e le norme anche.

Il genio ci pensa un po’ e poi fa:

- Ok. Torniamo al desiderio della pace nel mondo…

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