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mercoledì 21 luglio 2010

L'interesse legittimo. Ovvero: viaggio a Shangri La.

Premessa. L’interesse legittimo e Shangri-La. Primo approccio.

Una delle persone che mi ha accompagnato in tutte le tappe importanti della mia vita, a partire dall’età di quindici anni, è una mia amica, compagna di liceo, giudicata un po’ originale. Quando avevo venti anni lei mi disse che con un viaggio astrale era stata a Shangri La, detta anche Shambala o Shamballa e mi fece leggere alcuni libri di autori che avevano fatto lo stesso viaggio astrale che aveva fatto lei. Mi disse che era un luogo che esisteva veramente, ma non sul piano fisico. Solo pochi lo potevano vedere, ma chi lo vedeva poteva capire i destini del mondo, come funzionano le cose, e acquisiva il potere di capire come indirizzare la propria vita e dominarla, senza esserne dominato. A quel tempo non capii il suo discorso né i libri che mi fece leggere e mi limitai a prenderne atto; lei mi disse che un giorno avrei capito, forse.




Dopo qualche anno all’università ascoltai un altro discorso che ci fece il mio professore di diritto amministrativo e che mi rimase sempre impresso perché mi ricordò Shangri-La. Premesso che nel programma d’esame non compariva l’interesse legittimo, egli ci disse che ciò era dovuto al fatto che non eravamo pronti per capirlo fino in fondo, ma che esso era la chiave per comprendere il senso del diritto amministrativo; chi lo conosceva a fondo poteva afferrare il diritto amministrativo e dominarlo, anziché studiarlo a memoria ed era questo il motivo per cui non ce lo faceva studiare: non eravamo pronti.

Insomma, l’interesse legittimo era come Shangri La. Un mito. Non esisteva, ma penetrare nei suoi segreti equivaleva a capire il senso di tutto.

Un altro discorso di quel professore mi rimase impresso: quello in cui, citando Giannini che era stato un suo maestro, ci disse che questo eccezionale autore soleva ripetere che la maggior parte degli studiosi di diritto amministrativo non aveva capito nulla del diritto amministrativo stesso.

Anche nel numero scorso abbiamo parlato di un istituto ai limiti dell’incomprensibilità, la causa. Tra la causa e l’interesse legittimo c’è una differenza di fondo, però, di non poco conto: la causa è un istituto tra i tanti del diritto civile, tra i più importanti, ma comunque uno tra mille. L’interesse legittimo invece è l’istituto più importante del diritto amministrativo, e su di esso si basa l’intero sistema amministrativo, cioè si basa il criterio di ripartizione della giurisdizione tra Giudici ordinari e giudici amministrativi. Non è quindi UN istituto ma è L’istituto per eccellenza, caratterizzante un intero sistema giuridico.

Eppure si tratta di un istituto quasi incomprensibile. Basti pensare che per lo stesso problema può capitare che un caso (ad es.: diniego di cure mediche ospedaliere; ecc.) sia annoverato nell’interesse legittimo, altre volte nel diritto soggettivo. Cioè capita che i giudici amministrativi dicano “è un interesse legittimo, la competenza è nostra”. E i giudici ordinari dicano “no, è un diritto soggettivo, la competenza è nostra”.

Il discorso quindi, a differenza dell’editoriale della volta scorsa, assume toni decisamente più drammatici, perché sul concetto di interesse legittimo si giocano interi destini finanziari di aziende pubbliche e private, di cittadini, enti pubblici, ecc… Una ditta che deve ricevere milioni di euro dallo stato perde anni e anni, talvolta, solo per capire di aver fatto causa al giudice sbagliato; non viene risarcita o meno, a seconda che la controversia verta su un interesse legittimo o un diritto soggettivo.

L’incontro con l’interesse legittimo. La partenza per il viaggio.

L’istituto, che già mi aveva colpito all’università, si impadronì del mio interesse il giorno in cui ad un convegno parlai con un professore di Lima mio amico (già citato molte volte nei miei precedenti editoriali), che soggiornava in Italia per studiare il sistema giuridico italiano ed era iscritto come me alla scuola di specializzazione in diritto civile. Mi confidò che talvolta non capiva nulla del nostro diritto e aggiunse: “Paolo, il problema però non è la lingua. Anzitutto perché lo spagnolo è molto simile all’italiano, che io parlo benissimo. E poi perché quando io studio l’interesse legittimo leggo che alcuni sostengono che sia uno strumento che amplia la libertà del cittadino, simbolo della libertà e democrazia di un sistema, mentre altri sostengono sia uno strumento di vessazione, retaggio di un’epoca feudale in cui il sovrano poteva fare quello che voleva e che esso dovrebbe essere abolito. Alcuni dicono addirittura che l’interesse legittimo non esiste. O siete matti, o qualcosa non va nel vostro sistema”.

All’epoca non conoscevo a fondo l’istituto ma questa cosa mi affascinò e mi dissi che meritava un giorno di essere approfondita. Strumento di libertà o strumento di oppressione?

E fu così che mi misi alla ricerca della vera essenza dell’interesse legittimo, leggendo anche libri dal titolo curioso come “Linee generali del diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni” di Romagnosi, della fine dell’ottocento (testi che, sia detto per inciso, sono più chiari di quelli moderni).

Contemporaneamente cercai anche di capire il discorso della mia amica su Shambala con meno fortuna.

Viaggio nel cuore dell’interesse legittimo.

Il viaggio per trovare Shambala fu lungo e non è ancora terminato.

Invece ebbi maggiore fortuna con l’interesse legittimo. Me la cavai con poche decine di migliaia di pagine di dottrina, altrettante di giurisprudenza e pochi mesi di studio. Fu uno studio duro, ma alla fine un giorno, dopo aver letto soprattutto i libri di Cassese, fui illuminato come il Budda sotto l’albero di fico. E capii che erano esatte entrambe le visioni dell’interesse legittimo (strumento di oppressione e strumento di libertà). Budda capì che la realtà che noi vediamo è un'illusione ma che tutto in realtà è impermanente ed eterno e fornì gli strumenti per comprendere e dominare la realtà anziché subirla; io capii che l’interesse legittimo era un'illusione, non esisteva e per questo motivo è lo strumento più bello che sia messo nelle mani di un giurista perché quando lo si capisce a fondo con esso si può dominare il diritto amministrativo e sostenere qualsiasi cosa uno voglia, senza subire passivamente il diritto e le decisioni dei giudici.

Ora chi ha studiato il diritto amministrativo e ha delle nozioni di questa materia può provare a seguirmi nel viaggio che tenterò di riassumere. Faremo il nostro piccolo viaggio nella Shambala giuridica e spiegheremo sinteticamente come nasce l’istituto.

Nel 1865 furono aboliti i tribunali amministrativi e rimasero solo i giudici ordinari. Il giudice ordinario poteva essere adito contro la PA solo per violazione palese di un diritto civile, ma non aveva alcun potere di fronte ad un atto amministrativo illegittimo. L’amministrazione, si diceva, non può essere giudicata, a meno che non si voglia inteferire tra poteri dello stato, violando il principio di separazione tra poteri; inoltre l’amministrazione deve emanare atti in base alla legge, e quindi non può commettere illegalità. Se eventualmente veniva emanato un atto illegale ci si poteva rivolgere al superiore gerarchico (tramite i ricorsi gerarchici, appunto).

1889. Passarono pochi anni e ci si accorse subito che il mito della legalità dell’azione amministrativa era un miraggio e che il cittadino, in realtà, era sfornito di tutela a fronte di atti amministrativi illegittimi. Il fatto di potersi rivolgere solo al superiore gerarchico del funzionario che aveva emanato l’atto, per ottenere l’annullamento, non serviva a un bel niente ma solo a creare ingiustizie; ingiustizia a cui poi non si poteva porre rimedio perché nessun giudice poteva giudicare l’amministrazione. Si cercò quindi uno strumento di tutela. Anziché stabilire che il GO potesse giudicare gli atti amministrativi illegittimi, si creò un organo ad hoc, la quarta sezione del CDS, col potere di annullare gli atti amministrativi illegittimi (infatti trattandosi di un organo amministrativo, e non giudiziario, il sistema della tripartizione dei poteri era salvo). IL CDS da questo momento può quindi annullare gli atti illegittimi e il cittadino finalmente ha a disposizione uno strumento, nell’evetualità che l’amministrazione commetta un’ingiustizia.

Il problema però era che il CDS, essendo organo amministrativo e non giudiziario, non poteva condannare la PA al risarcimento del danno, ma solo annullare gli atti illegittimi. Il cittadino, cioè, se aveva interesse ad annullare un atto era tutelato, ma rimaneva sfornito di tutela tutte le volte che avrebbe voluto chiedere alla PA un risarcimento del danno. In altre parole: se io ho un campo di patate, e l’amministrazione mi ci costruisce sopra un'autostrada, che me ne faccio dell’annullamento dell’atto, se tanto l’autostrada rimane e non si può più togliere? Il campo di patate è distrutto e io, cittadino, vorrei avere almeno un risarcimento del danno.
Però non posso chiederlo al giudice amministrativo, perché non ha il potere di condannare al risarcimento. Non posso chiederlo al Giudice ordinario, perché costui non può condannare un'amministrazione. Insomma… i cittadini erano fregati lo stesso.

1900-1947. In questo periodo nasce la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi. Tutte le volte che un cittadino voleva essere risarcito andava davanti al Giudice ordinario e diceva di vantare un diritto soggettivo, al fine di poter chiedere un risarcimento. In altre parole: ci si inventa dei sistemi per andare ugualmente davanti al Giudice ordinario e chiedere il risarcimento, anche se le legge non lo permetteva. Nascono così i diritti soggettivi di fronte alla PA: a) se l’atto emanato dalla PA è nullo il privato ha un diritto soggettivo e può chiedere il risarcimento (NB: la nullità dell’atto amministrativo non esisteva nella legge fino al 2005). b) Se l’atto annullato riguarda un interesse pretensivo dopo l’annullamento si può chiedere il risarcimento del danno perché il diritto soggettivo degradato torna a riespandersi. c) se si deve giudicare un mero comportamento della PA, allora il privato vanta un diritto soggettivo. E via discorrendo…

Nasce quindi il sistema attuale: se vanto un diritto soggettivo posso adire il GO; se vanto un interesse legittimo devo adire il GA. Nasce cioè una distinzione, quella tra interessi legittimi e diritti soggettivi, che non esisteva nella legge, e che ha tra l’altro contraddizioni teoriche e dogmatiche insuperabili, che ora non è il caso di affrontare. Tale distinzione nasce per tutelare il cittadino e fargli ottenere un risarcimento anche lì dove non ne avrebbe diritto, per legge. Insomma, la verità non è tanto che non esiste l’interesse legittimo (essendo questo il diritto ad annullare l’atto amministrativo); casomai sarebbe più corretto dire che, di fronte alla PA il diritto soggettivo non esisterebbe mai, e si dovrebbe sempre andare davanti al GA. Per tutelare il privato e permettergli di essere risarcito, si sono trovati escamotage logici, verbali, e quindi giuridici, per poter adire il giudice ordinario anche li dove non ce ne sarebbero i presupposti.

1947. La Costituzione cristallizza questo stato di cose, ovverosia cristallizza un istituto meramente giurisprudenziale e dottrinale provvedendo a inserire l’interesse legittimo tra le posizioni giuridiche tutelabili. Ovviamente non provvede a darne una definizione. A questo punto il danno è fatto ed è irrimediabile, perché ogniqualvolta qualcuno parlerà di abolire l’interesse legittimo, si sentirà replicare che “essendo un istituto previsto a livello costituzionale, non può essere abolito a meno di non violare la costituzione”.

Conclusioni. Strumento di libertà o strumento di oppressione?

Ecco quindi svelato il mistero.

La dicotomia interesse legittimo-diritto soggettivo rappresenta uno strumento di libertà, perché senza la sua invenzione, per decenni, praticamente fino a pochi anni fa, non si sarebbe mai potuto ottenere giustizia.

Tuttavia, oggi che, a partire dalla riforma del 2000 il giudice amministrativo ha conquistato il diritto di risarcire il danno, questa dicotomia non ha più ragione di esistere e complica solo la vita ai giuristi.

In tal senso esso rappresenta uno strumento di oppressione del cittadino, perché complica il sistema processuale tramite un istituto che non esiste nella legge e di cui non esistono criteri precisi per poterlo delimitare, salvo quelli, variabili e evanescenti, della giurisprudenza e della dottrina. Questo permette al giudice che non vuole condannare di dire “non condanno, perché la pretesa vantata è un interesse legittimo” oppure di dire il contrario. Con la certezza che le persone che realmente capiranno la motivazione sono pochissime e quindi, quand’anche essa fosse sbagliata, sarà esente da critica.

Ecco perchè alcuni studiosi auspicano l’abolizione dell’istituto, proponendo un sistema di giustizia amministrativo più semplice: tutte le cause in cui è parte una PA siano devolute al giudice amministrativo; quelle tra cittadini al giudice ordinario.

Quindi: da una parte è uno strumento di libertà, perché ha consentito l’impugnazione degli atti amministrativi, cosa che prima non era possibile e non in tutti gli ordinamenti è un diritto garantito al cittadino. Ma da una parte è uno strumento di oppressione, perché se alla fine dell’ottocento l’istituto aveva una sua giustificazione, oggi, che viviamo in uno stato democratico dove la sovranità appartiene al popolo, e dove gli atti amministrativi, provenendo dalla PA, sono sempre riconducibili, in teoria, alla volontà dei cittadini, nessuno dubiterebbe che gli atti amministrativi siano sindacabili giurisdizionalmente; di conseguenza, da questo punto di vista, l’istituto è oramai obsoleto e inutile, provocando dei disastri immensi. Facciamo un esempio.

Esempio dei disastri causati dall’interesse legittimo

Al penultimo concorso in magistratura i carabinieri sorprendono una donna, magistrato di Cassazione, che sta sostituendo un compito da una busta sigillata. Scoppia un (piccolo, troppo piccolo purtroppo) caso nazionale. E’ evidente a tutti che il magistrato si è comportato scorrettamente e il concorso non dà garanzie di serietà, dovendo essere annullato. Invece le correzioni vanno avanti tranquillamente. I commissari difendono la posizione della loro collega e pur non potendo negare l’evidenza minimizzano l’accaduto dicendo che il fatto che ella sia stata sorpresa in flagrante a manipolare un compito, non significa che il suo operato vada censurato in toto e che quindi il sospetto di poca serietà debba ricadere su tutto il concorso.

Purtroppo la teoria dell’interesse legittimo serve perfettamente a paralizzare la giustizia in un caso come questo. Infatti: a) un’azione collettiva per annullare il concorso è impossibile in quanto l’interesse legittimo è un interesse individuale e non serve nei casi in cui esiste un interesse di tutti i soggetti presi complessivamente (da notare l’assurdità del ragionamento nel momento in cui dice che l’interesse di un singolo è tutelato, ma di una collettività no; come se la collettività non sia un insieme di singoli, e come se l’interesse della collettività non fosse più importante di quello del singolo individuo). b) l’azione individuale per annullare la procedura concorsuale è impossibile perché l’interesse legittimo del singolo non può andare ad incidere su interessi che coinvolgano migliaia di persone; c) l’unica possibilità è che il singolo candidato faccia ricorso per annullare la sua singola prova d’esame; ma ai candidati che fecero ricorso al TAR, lamentando che la loro correzione era stata effettuata da un commissario sottoposto a procedimento penale per delle irregolarità acclarate, non fornisce sufficienti garanzie di imparzialità. Il Tar però rigetta la domanda perché la correzione degli elaborati è un’attività discrezionale, e come tale non soggetta a sindacato da parte del TAR. E la nozione di attività discrezionale e vincolata, ricordiamolo, è figlia della teoria dell’interesse legittimo.

Si tratta di una situazione paradossale, illecita, quasi kafkiana. Ma queste vicende non verranno mai alla luce perché pochi sono in grado di capire come stanno realmente le cose, perché pochi sanno veramente bene il diritto amministrativo; quindi i giornali anche volendo non potrebbero occuparsene; gli osservatori stranieri men che meno, e quindi si limitano a seguire la vicenda di un concorso in cui si arruolano i futuri tutori della legalità, senza capire il senso del dibattito giuridico che ruota attorno alla vicenda. E quei pochi magistrati e avvocati che si interessano della faccenda non hanno alcun potere per risolvere questo stato di cose. L’interesse legittimo, da strumento di libertà, diventa uno strumento di oppressione del cittadino e di illegalità, perché serve per ottenere scopi illeciti.

Di esempi se ne potrebbero fare tanti altri. Senza andare tanto lontano è assurdo anche il caso trattato nel contributo di questo numero (CDS 4501-2006). Il caso è questo: Una società riceve un finanziamento statale. Facciamo questi esempi. Se la ditta non percepisce più il finanziamento perché il provvedimento viene revocato, devo ricorrere al GA, essendo un interesse legittimo. Se il finanziamento non viene erogato per inadempimento, occorre ricorrere al GO, essendo un diritto soggettivo.

In questo caso, la ditta che doveva ricevere il finanziamento, dopo anni di causa davanti al GA, si è vista denegare la giustizia, perché il CDS ha ritenuto che la posizione sia di diritto soggettivo.

Diciamolo francamente. A me, dal punto di vista pratico, pare una follia. Peraltro, si noti bene, il difetto di giurisdizione è stato sollevato addirittura dalla stessa parte che ha fatto il ricorso, cioè dalla società cooperativa. Come dire: io prima faccio il ricorso davanti al TAR, poi sostengo di aver adito un giudice incompetente e il CDS mi dà anche ragione.

Ecco perché l’interesse legittimo è un argomento così bello e affascinante. Perché capirlo fino in fondo significa – come disse giustamente il mio professore - penetrare nei segreti più reconditi del diritto amministrativo e poter sostenere qualunque tesi, senza tema di essere smentiti da nessuno. Per lo studioso è uno studio affascinante e quasi magico. Un po’ meno per il cittadino che si trova a doversi confrontare con una realtà eterea, sfuggente, di cui non capisce il senso.

D’altronde non credo che questo stato di cose cambierà troppo facilmente dato lo stato della manualistica di amministrativo.

Qualche tempo fa poi stavo leggendo un recente manuale di diritto amministrativo scritto da un magistrato amministrativo, dal totale complessivo di 2500 pagine (duemilacinquecento!!!); al riparto di giurisdizione sono dedicate circa 800 pagine. Ma quando l’autore tocca la problematica dell’interesse legittimo, sulla teoria dell’inesistenza della figura dice solo “esiste poi una teoria che nega l’esistenza della figura e ne propone l’abolizione… Ma in questa sede non è possibile darne conto per ragioni di spazio e comunque tale tesi non tiene nel dovuto conto che essendo prevista dalla Costituzione l’interesse legittimo è essenziale al sistema e quindi negarne l’esistenza significa proporne una lettura anticostituzionale”.

Se in un manuale di 2500 pagine non si può dar conto della teoria dell’inesistenza dell’interesse legittimo, che è l’unica che può servire a far capire realmente l’istituto, allora è ovvio che questo stato di cose non cambierà mai.

L’interesse legittimo ce lo terremo ancora per molti anni perché non si ha nessuna voglia di semplificare le cose.

Perché i pratici non si rendono conto di quale sia il problema.

E i teorici non hanno nessuna voglia di spiegarlo ai pratici, e addirittura spesso non hanno capito neanche loro l’istituto.

E ci terremo un sistema assurdo, ove solo per imparare ad individuare il giudice competente (operazione che, a rigor di logica, dovrebbe richiedere non più di qualche minuto, il tempo di leggere una norma che dica “la materia X al GO, la teoria Y al GA) occorrono corsi di decine di ore, con danni incalcolabili alle finanze dei cittadini, dello stato, delle imprese pubbliche e private.

Fine di un viaggio e proseguimento dell’altro.

A circa 40 anni, dopo aver riletto il libro Viaggio a Shamballa, ho capito più o meno quello che voleva dire la mia amica su questo luogo. Esso non esiste, se non nel cuore di ogni persona, ma per vederlo occorre una preparazione particolare e doti particolari (che io non sono mai riuscito ad acquisire). E chi ne parla troppo talvolta rischia di essere preso per matto.

L’interesse legittimo è come Shambala. Non esiste, se non nella testa dei giudici che devono decidere se condannare o respingere la domanda, se annullare l’atto o meno, ma per capirlo occorre una preparazione ferrea in diritto amministrativo (che con gli anni spero di aver acquistato, a differenza delle doti di lettura dell’aura). E chi lo dice troppo apertamente rischia di essere preso per matto.

Ed esiste un forte divario tra teoria e pratica, sicchè le persone che vivono l’interesse legittimo tutti i giorni sulla propria pelle spesso non hanno capito a fondo l’istituto; dall’altra parte invece i teorici dell’interesse legittimo discutono tra loro scrivendo fiumi di inchiostro preoccupandosi poco delle ricadute pratiche delle loro discussioni.

Quei pochi che coniugano teoria e pratica e sono esperti in entrambi i campi spesso parlano un linguaggio ancora una volta mal compreso sia da teorici puri che da pratici puri. Ma tra loro si intendono bene.

Allora, agli allievi dei miei corsi, raccomando la stessa cosa che mi raccomandò la mia amica. “Non dire mai che curo la gente perché ho fatto un viaggio a Shamaballa. Dì che ho fatto corsi di Shiatsu e Terapia crano sacrale” mi disse.

Io dico la stessa cosa sull’interesse legittimo. “Non scrivete mai che l’interesse legittimo non esiste; se lo scrivete rischiate di essere presi per matti e non capiti. Bisogna scrivere che l’interesse legittimo non è una posizione soggettiva sostanziale che si risolve in una pretesa ad agire per l’ottenimento di un bene della vita, bensì una posizione meramente processuale risolventesi nell’individuazione del giudice competente e che ricorre quando il diritto soggettivo degrada ad interesse legittimo mercè l’intervento di un atto amministrativo sul diritto soggettivo del privato”. Che è esattamente la stessa cosa, ma è meglio non dirlo apertamente

O, meglio, come dice Giannini “l’interesse legittimo è un diritto soggettivo che ha la sventura di imbattersi in un provvedimento amministrativo”. E Giannini il diritto amministrativo l’aveva capito. Su questo non c’è dubbio.

Postilla finale. L’interesse legittimo non morirà mai.

L’interesse legittimo non morirà mai. Ne ho avuto la tragica e matematica certezza quando ho sottoposto il mio editoriale ad una mia ex allieva, ora mia collaboratrice, autrice di un manuale di diritto amministrativo edito da Maggioli. Tale manuale, sia detto per inciso, rispecchia molto l’impostazione di un altro manuale scritto da me ed edito da La Tribuna. Ciò è logico, essendosi Antonella in parte formata con i miei scritti, nonchè attraverso il dialogo costante che abbiamo instaurato anni fa attraverso un corso on line.

Alla fine dell’editoriale, oltre a correzioni e appunti vari, c’era questo commento, che riporto integralmente.

“Paolo qui io e te la pensiamo diversamente. L’interesse legittimo a mio avviso non è una posizione meramente processuale, ma è una situazione sostanziale, ovvero il diritto soggettivo che si trova a fare i conti con la necessità di essere contemperato con l’interesse pubblico. Che poi è quello che dice Giannini (e ne convieni pure tu). Quindi le cose sono tre: o non ti sei spiegato bene prima, o io non ho capito quello che vuoi dire, o ti contraddici”.

In realtà a mio avviso, il fatto che un diritto soggettivo si trovi ad essere “contemperato con l’interesse pubblico” non perde per questo la sua caratteristica di diritto soggettivo. In altre parole: un diritto di proprietà su una casa rimane tale anche se l’amministrazione inizia un procedimento di espropriazione… ecco perché è corretto dire che l’interesse legittimo è un diritto soggettivo che ha la sventura di imbattersi in un provvedimento amministrativo. Ed ecco perché l’interesse legittimo, in realtà, non è diverso dal diritto soggettivo, unica differenza essendo quella del giudice chiamato a decidere l’annullamento dell’atto. Ecco perché è corretto dire che non esiste.

Nel diritto si sa, è questione di opinioni. Ma se Antonella, che pure ha studiato a fondo i miei libri, la pensa così, allora vuol dire che effettivamente l’interesse legittimo ce lo terremo per un bel pezzo ancora.

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